Nnumari”, il Mar Mediterraneo raccontato attraverso il cibo. L’evento ha radunato a Licata alcuni chef accomunati dalla volontà di costruire insieme un manifesto condiviso per valorizzare la cultura e la filiera legata al «Mare Nostrum»   

LICATA (AGRIGENTO). Un unico mare che unisce popoli diversi. Un patrimonio comune a tutti coloro che, in territori simili, compiono gesti uguali vivendo in terre che si affacciano su quella grande risorsa che si chiama Mediterraneo. A lui è stata dedicata la prima edizione di ‘Nnumari, nel mare in siciliano: un evento che ha radunato a Licata (Ag), per opera dello chef due stelle Michelin Pino Cuttaia, una rete di professionisti accomunati dalla volontà di costruire insieme un manifesto condiviso per valorizzare la cultura e la filiera legata al Mediterraneo.

E così, per tre giorni, più di venti chef italiani e stranieri hanno reso il mare protagonista dei loro piatti, ambasciatori di storie e territori, di tradizioni, rituali e saperi antichi che partono da materie prime comuni seppur appartenenti ad aree geografiche diverse. «Durante la mia carriera – spiega Cuttaia – ho capito come la Sicilia sia il frutto delle contaminazioni dei popoli che hanno vissuto in questa terra. L’arte culinaria di questa zona nasce da diverse esperienze e mi sono accorto che i miei gesti sono simili ai gesti di altri cuochi: i miei viaggi mi hanno portato a capire che il mio territorio ha una matrice simile in tutti i Paesi del Mediterraneo con la sola differenza di microclima, stagionalità, usi e costumi di ognuno di essi. E, come per i miei colleghi, anche la mia cucina – prosegue – dipende dalla sopravvivenza di questo mare: siamo parte del Mediterraneo e viviamo tutti in terre unite dal mare; abbiamo problemi comuni e abbiamo il dovere di trovare delle soluzioni per studiare modelli di sviluppo che siano economici, sociali, ambientali e sostenibili. Difendere la filiera oggi significa anche conservare la nostra identità».

Un’identità dunque che parte dal mare, da quel mare che mette insieme esperienze diverse, che è mescolanza di gente e di popoli e che è unione, a cominciare proprio dalla tavola. Un polmone blu che però soffre, come ha ricordato Mariasole Bianco, presidente della Onlus Worldrise dedita alla valorizzazione dell’ambiente marino: «L’80% delle specie viventi è nel mare, un pianeta che abbiamo esplorato solo per il 5%, dove tutto è interconnesso e disciplinato da equilibri fragilissimi plasmati in milioni di anni di evoluzione. Oggi quel mare ha bisogno di noi: la pesca intensiva ci sta portando a pescare più della capacità che ha il pesce di riprodursi. La domanda cresce e la risorsa diminuisce: se proseguiamo in questo modo, secondo la Fao, nel 2050 assisteremo al collasso della pesca commerciale. E poi c’è il problema dell’inquinamento: ogni anno si riversano in mare 8 milioni di tonnellate di plastica, come se un camion della spazzatura versasse ogni minuto il suo contenuto in acqua e, non a caso, la maggior parte degli animali arriva a scambiare la plastica proprio per cibo. Ecco perché – prosegue – insieme a ‘Nnumari stiamo lavorando non solo per promuovere il consumo di pesce sostenibile, ma anche per realizzare percorsi di cittadinanza attiva che rendano i giovani di oggi cittadini responsabili. Grazie a un evento che Worldrise ha promosso nei mesi scorsi a Milano, invece, il capoluogo lombardo si candida a essere la prima città al mondo night life plastic free, mentre a  dicembre saremo a Londra per una nuova Notte Blu senza plastica».

Mare come patrimonio di memoria, come testimonia la chef calabrese Caterina Ceraudo che a Licata ha raccontato la sua personale lotta per salvare la produzione della sardella o caviale dei poveri, una conserva ittica che nasce dalla pesca del novellame di sardina (bianchetti), piatto che è memoria di un popolo e della sua terra, che è identità del patrimonio gastronomico calabrese. Memoria a cui si appella anche quel poeta del gusto che porta il nome di Corrado Assenza (il più grande confisier du monde, secondo Alain Ducasse): lui che ama scoprire sapidità e dolcezze naturali cercando il gusto dell’ingrediente, instancabile cacciatore di produttori che custodiscono con le loro storie saperi antichi, come nel caso di Salvatore Passalacqua e della sua Tuma Persa, espressione autentica dei Monti Sicani.

Mediterraneo che unisce non solo dal mare, ma anche dalla terra con quella produzione di olio comune a tutto il suo bacino. Olio extravergine di oliva come l’U Trappitu che la famiglia Pellegrino produce a Trapani da cultivar Biancolilla, Cerasuola e Nocellara del Belice e che Moreno Cedroni ha usato per condire il suo tonno bianco poco cotto servito su salsa di mandorle, cucunci e foglie di senape che crescono rigogliose tra gli uliveti di Guarrato. Terra che ritorna nel piatto di Matteo Baronetto che Dal Cambio di Torino unisce il Piemonte e la Sicilia con una carne salata di fassona e uno straordinario melone bianco cotto a vapore tra le foglie di fico, o con la pizza fritta di Franco Pepe che si chiama Sensazione di costiera e della costiera regala profumi e sapori. Insomma, la cucina ancora una volta è testimone di un viaggio capitanato dai suoi cuochi, grandi custodi di territori e sapori. Un viaggio come quello compiuto dal pesce spada e dal plancton che ha utilizzato Gianfranco Pascucci e che, servito con un infuso di calamaro, miso, peperoncino e spezie racchiude gusti comuni a tante popolazioni e tanti racconti di mare.

https://www.lastampa.it/cronaca/2019/10/05/news/nnumari-il-mar-mediterraneo-raccontato-attraverso-il-cibo-1.37681745?fbclid=IwAR2zk4qfb1oTX4IdRVBE6hQuOvzZlPCKoLXqYtv3TxB1o1YYHCikcH9wCvk

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